Gli antichi micenei già nel XIII secolo a.C. celebravano una dea che proteggeva il mondo che avevano imparato a dominare, il mondo delle foreste selvagge che dava riparo agli animali da cui traevano il loro sostentamento, era un "signora degli animali" ma diversa da quella che avrebbero incontrato conquuistando l'isola di Creta. La loro protettrice degli animali era un cacciatrice anche lei ed amava indossare una tunica corta e dei calzari mentre assicurati alle sue spalle aveva sempre l'arco e la faretra. Era una dea giovane che amava correre e distrarsi in giochi con altre creature giovani come lei, le ninfe dei boschi che furono sue compagne sin dall'infanzia.
Ma nei tempi arcaici quella dea favoriva anche la fecondità ed a lei si rivolgevano le donne che presiedevano la vita delle tribù; di quella arcaica dea alcuni caratteri continuarono ad essere celebrati nel santuario che le venne dedicato ad Efeso e nel quale era posta la statua in cui erano tutti rappresentati. La statua di Artemide Efesia è stupefacente soprattutto se non si dimentica che era una dea vergine, ma probabilmente il vero significato della verginità di quella divinità lunare era la sua impossibilità di essere toccata da ciò che era degli uomini e per ciò stesso impuro.
Artemide, bronzo IV secolo attribuito a Eufranore, dettaglio – Museo Archeologico del Pireo G
Gli Elleni riscrissero i mito della dea vergine e la fecero discendere da una dea titana e da un dio olimpo, così nella teogonia olimpica dall'unione tra Zeus e Letò, colei che per i latini sarà Latona, nacquero le divinità che si divisero il potere su gli astri che segnano lo scorrere del tempo sulla terra; ad Apollo il sole, ad Artemide, la dea bianca e pura, la luna. Latona dovette fuggire l'ira di Hera per riuscire a far nascere i suoi figli gemelli e trovò ospitalità ad Ortigia nei pressi di Delo, ma il suo parto non fu facile perchè Hera aveva messo in moto varie macchinazioni per impedire la nascita di quei figli di Latona che già sapeva sarebbero stati molto importanti ed anzi, al maschio era stato già riconosciuto il diritto di succedere al padre.
Appena scoperto il tradimento Hera convocò il serpente Pitone a cui ordinò di non dare tregua a Latona che per sfuggirlo finì con il gettarsi nel mare; nuotava alla ricerca di un approdo ma era sempre più stanca Latona e nell'approssimarsi del parto cercava disperatamente un lido dove dare alla luce i suoi figli. Gli abitanti di ogni isola su cui tentava di trovare ospitalità avevano troppa paura di Hera per aiutarla finchè, finalmente, Latona trovò a Delo gli abitanti pronti ad aiutarla che in cambio chiedevano di .di poter avere la protezione del dio che stava per nascere.
Ma i problemi di Letò non erano finiti perchè Hera stava trattenendo sull'Olimpo Ilizia, la dea dei parti, che non venne così a sapere che il travaglio di Letò era iniziato. Homero racconta che il travaglio durò ben nove giorni e ad assistere Letò c'erano le altre dee che alla fine mandarono Iride ad avvisare Ilizia che prontamente arrivò per far nascere i figli di Letò e Zeus.
Esiste però una storia più antica di quei giorni in cui Leto era disperata; fu Zeus che decise di intervenire ed allora fece apparire davanti alla sua amante l'isola di Asteria, un'isola galleggiante che egli incatenò al fondo del mare per dare finalmente un approdo a Leto. Ma Asteria non era solamente un'isola, era anche il nome della sorella di Leto che era stata punita proprio per aver rifiutato l'amore di Zeus il quale si vendicò prima tramutandola in quaglia e poi facendola precipitare nel mare, infatti l'altro nome dell'isola era Ortigia o "isola della quaglia".
Secondo un'altra versione fu Poseidone che andò in aiuto di Leto, il dio del mare fece uscire da mare un isola e l'incateno al fondo di modo che potesse essere il rifugio per far nascere i suoi figli.
Appena in salvo sull'isola di Ortigia, Leto diede alla luce il primo dei gemelli, una femmina a cui venne dato il nome di Artemide. Ma il parto di Leto non era finito ed allora la figlia appena nata aiutò la madre ad attreversare un braccio di mare arrivando a Delo dove tra una pianta di ulivo ed una palma da datteri, dopo altri nove giorni di travaglio diede finalmente alla luce un maschio, Apollo. Dopo la nascita di Apollo l'isola che fino a quel momento era galleggiante per disposizione di Zeus fu ancorata al fondo del mare e fu vietato partorire e morire sull'isola. Le donne di Delo da allora devono andare su Ortigia per partorire ed i malati devono essere portati altrove.
Statua in avorio di Letò con i due figli, VII secolo a.C. - Antalya Museum TUR
Ma le difficoltà di Letò non sarebbero finite con il parto ed infatti subito dopo per sfuggire ad Hera, la titana con i suoi due figli si recò in Lycia dove assetata voleva bere l'acqua dell fiume Xanthos. Ovidio nelle Metamorfosi racconta che le si pararono davanti i contadini della valle che stavano raccogliendo giunchi nell'acqua e sordi anche al pianto dei neonati, le impedirono di bere; Letò stanca ed adirata usò dei suoi poteri e trasformò i contadini in rane condannadoli a restare per sempre nell'acqua.
In quel sito sulle rive dello Xanthos venne poi edificato il Letoon, un santuario dedicato al culto di Letò e dei suoi due figli gemelli. Esiste anche una versione secondo cui fu una lupa a mostrare alla divina Letò dove potersi dissetare; in segno di gratitudine la dea volle dare alla regione il nome di Lycia derivandolo dal termine Lycos che significa lupo.
Secondo una diversa versione della nascita di Artemide ed Apollo, il parto di Letò sarebbe avvenuto proprio alle sorgenti dello Xanthos.
Gillis van Coninxloo: I pastori di Lycia impediscono a Letò di bere l'acqua dello Xanthos, XVI sec.
Nella versione arcaica del mito Letò, dopo un lungo travaglio, aveva prima partorito Artemide e poi, con il suo aiuto, anche Apollo.. Secondo questa arcaica versione Apollo sarebbe nato di sette mesi e visto che condivideva il ventre della madre con Artemide, anche lei sarebbe nata dopo sette mesi.
Sin dal tempo dell'infanzia Artemide dimostrò grande forza e determinazione; a solo tre anni Artemis salì sulle ginocchia del padre Zeus e chiese di avere quanto le avrebbe dato la possibilità di vivere secondo le sue inclinazioni; Callimaco così introduce l'episodio nel suo inno dedicato ad Artemide:
Bassorilevo del IV secolo a.C: Artemide con Latona, Zeus e Apollo – Museo Archeologico di Brauron EL
Dammi, padre, dicea: ch’io serbi eterne
Vergini brame, e dai nomi, che orgoglio
Apollo più di me non deggia averne:
La gran faretra e il grande arco non voglio,
Provederà, se impetro, a me Vulcano
Pieghevol arco e faretrato spoglio;
Agitar faci da ciascuna mano,
Movere in corte vergate gonnelle,
E fiere vo’ non saettare invano;
Voglio dall’Ocean sessanta ancelle,
Che deggiano guidar danze con meco,
Giovani tutte e fior di verginelle,
Venti ne voglio dall’Amnisio speco,
Che miei veltri e coturni abbiano a cura,
Se guerra a lince e a capriol non reco;
Dammi signoreggiar ciascuna altura,
D’una città mi appago esser regina,
Che rado mi vedran civili mura.
Artemide chiede così al padre di rimanere vergine ed anche la ricchezza dei nomi così da non dover competere con il fratello ed infine rivendica per sè il controllo delle selve e della tecnica che ne assicura la supremazia: la caccia. Homeros nell'Iliade definì Artemide Signora delle fiere selvagge.
(continua)
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